Ivan Franek e i fantasmi di White Flowers
PESARO – Una dichiarazione d’amore per il Giappone e la sua estetica cinematografica, tra Mizoguchi e le riletture di Wenders, in 126 minuti di estasi pittoriche, un oggetto da maneggiare con delicatezza, fragile e affascinante allo stesso tempo. Marco De Angelis e Antonio Di Trapani tornano alla Mostra, dove avevano portato in concorso Terra quattro anni fa, con White Flowers, thriller metafisico (ma ogni definizione è naturalmente parziale) che ha per protagonisti gli ottimi Ivan Franek e Hayase Mami, insieme a Yuki Iwasaki, Hal Yamanouchi, David Paryla, Pietro Faiella.
”Un film molto diverso, un progetto a parte”, nelle parole di Ivan Franek. Che aggiunge: “È stato quasi come tornare a esordire, ho dovuto ripulirmi dalle mie abitudini per entrare in questo universo fatto di sensibilità e profondi sentimenti. È un film che bisogna vedere due o tre volte come si ascolta un’opera lirica, e forse nei nostri tempi stiamo perdendo questa capacità”, spiega l’attore ceco, amato dal cinema italiano con titoli come Brucio nel vento di Soldini e Sangue del mio sangue di Bellocchio.
Piuttosto polemico, invece, Marco De Angelis, che attacca la moda del cinema del reale. Mentre Antonio Di Trapani si inserisce nel dibattito sul cinema di genere, molto acceso qui a Pesaro, spiegando che in questo lavoro “ci siamo prestati al gioco del genere”. E aggiunge: “La poesia c’è o non c’è. Il film ha una sua fragilità che anche un colpo di tosse può spezzare”.
White Flowers – che ha un andamento musicale e ipnotico, con molti spunti sonori – parte con un colpo di pistola e un uomo che si risveglia in un albergo, mentre squilla un vecchio telefono: è del tutto privo di memoria e minacciato da un malavitoso mellifluo in guanti bianchi. Questa vicenda noir si interseca a quella di Yuki, una giovane disegnatrice di manga che arriva in città in cerca di ispirazione e incontra un ragazzo gentile. Insieme immaginano una storia d’amore tra un corniciaio e una donna misteriosa, moglie di un boss crudele e anaffettivo, storia che forse è accaduta realmente. E nell’inseguimento della verità o meglio dei ricordi perduti salta fuori anche l’immagine di due cigni che si baciano e una polaroid in cui si vede un albergo di montagna dentro un paesaggio innevato. “Passato e presente, ideazione e realtà sembrano intrecciarsi, all’insaputa della stessa Yuki, in un gioco colluso di doppifondi che porterà al metafisico approdo finale”, dicono gli autori.
Tra ghost story e l’omaggio esplicito a Vita di O-Haru donna galante, il film dispiega un’attenzione all’inquadratura e alla costruzione dell’immagine a dir poco rara nel cinema italiano contemporaneo. Il produttore Emanuele Nespeca (Solaria Film) ci racconta che la struttura di questo nuovo lavoro dei due filmaker nasce proprio dalla dialettica accesa tra logiche produttive sia pure di nicchia e autori abituati a essere duri e puri. “In questo caso siamo partiti da Yuki, una loro opera autoprodotta che non aveva mai visto la luce, progetto di cui mi ero innamorato e da cui è stato possibile desumere una sceneggiatura, dentro una struttura da thriller, con il classico scontro tra male e bene, boss corrotti e poliziotti, pur perdendosi dentro al labirinto della memoria. Così sono arrivati i fondi del ministero e il sostegno del Centro Produzione Audiovisivi dell’Università Roma Tre con Vito Zagarrio e Christian Carmosino, quindi sono entrati Rai Cinema, le Film Commission Calabria e Liguria, infine un piccolo produttore giapponese che ha consentito una settimana di riprese in Giappone durante la fioritura dei ciliegi. Impossibile purtroppo una vera e propria coproduzione perché il cinema giapponese è impostato in maniera diversa – spiega ancora Nespeca – non esiste un cinema indipendente e a basso budget, lo fanno solo gli attori per proporsi”.
Mentre Vito Zagarrio sottolinea: “Il cinema di De Angelis e Di Trapani è un cinema colto, elegante, raffinato, che ibrida la tradizione europea con il modello asiatico. Le loro inquadrature sono consapevoli, a loro modo teoriche, le storie atipiche, la loro regia autoriale e non compromissoria”.
Pur nella formula slow budget ovvero super low budget, il film ha una grande ricchezza di location, dal Giappone, appunto, a Cosenza e al Pollino innevato, alla Liguria con Genova e il porto. La distribuzione internazionale è affidata a Minerva Pictures mentre per l’uscita in sala si sta ancora lavorando. “È un fuori formato in tutti i sensi – dice Nespeca – sia per la durata che per la scelta di passare dal 4:3 al 16:9 in maniera apparentemente illogica”. E aggiunge: “Mi piacerebbe avere dei campetti di campo sterrati per la serie C, quella dove si comincia a diventare professionisti. In Italia manca un circuito di questo tipo. Moviement sarebbe stato interessante se avesse aperto al cinema indipendente o al 2.0 con aiuti pubblici mirati non ai produttori ma alle sale che programmano certi film”.
Prossimi progetti della Solaria: GlassBoy, il bambino di vetro di Samuele Rossi, che inaugura una linea editoriale teen dai 9 anni in su con la storia di 5 dodicenni uno dei quali affetto da emofilia ma disposto a rischiare pur di entrare nella banda della Piazza Vecchia (dal romanzo di Fabrizio Silei). Poi il nuovo progetto di Rolando Colla Quello che non sai di me e infine il documentario Entierro di Maura Morales Bergmann, menzione speciale alla fotografia al Biografilm che sarà autodistribuito da fine agosto.
Cristiana Paternò
23/06/2019
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