All’opera terza, il duo De Angelis e Di Trapani firmano un thriller sperimentale tra Oriente e Occidente che mescola, senza soluzione di continuità, generi e linguaggi.
A un anno circa dal battesimo alla 55ª Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, White Flowers ha scelto di indossare la veste digitale per mostrarsi al pubblico della rete sulla piattaforma The Film Club, il servizio di video on demand di Minerva Pictures dedicato alle pellicole d’autore e di genere, oltre che ai classici, cult e rari. Uno spazio, questo, perfetto per ospitare in anteprima assoluta, a partire dal 2 giugno e per una settimana (a seguire sarà disponibile sulle principali piattaforme VOD), un’opera come quella diretta a quattro mani da Marco De Angelis e Antonio Di Trapani, che proprio nella contaminazione e nell’ibridazione delle componenti drammaturgiche e formali ha trovato la sua ragione d’essere.
White Flowers: un “gioco” di doppifondi e specchietti delle allodole
Il terzo film firmato dal collaudato duo, già autore degli apprezzati Terra e Tarda estate, ci porta al seguito di un uomo solitario e misterioso (Ivan Franek) che si risveglia in una stanza d’albergo con una pistola e una ferita alla testa che gli impedisce di ricordare la sua identità e il suo passato. Siamo in quel di Tokyo e nel frattempo è giunta in città una giovane disegnatrice giapponese di nome Yuki (Yuki Iwasaki) che, per il suo nuovo manga, è alla ricerca dell’ispirazione per creare dei personaggi indispensabili per cucire insieme i fili della trama. I due scopriranno presto di essere legati da un destino comune che li porterà in un “gioco” colluso di doppifondi e specchietti delle allodole ad affrontare un viaggio verso un’isola leggendaria, tra piani temporali di ieri e di oggi e un intreccio senza soluzione di continuità tra immaginifico e realtà.
White Flowers: un thriller on the road dalle venature sperimentali che sfugge alle facili etichette
In questo thriller on the road dalle venature fortemente sperimentali che sfugge alle facili etichette, De Angelis e Di Trapani riversano tutte quelle “ossessioni” che, dall’esordio sino a qui, hanno caratterizzato il loro modo di pensare e concepire la Settima Arte. Un DNA autoriale nel quale hanno trovato e trovano terreno fertile una serie di elementi ricorrenti in grado di rendere il tutto personale e riconoscibile. Si avvertono le influenze e i sapori molteplici del cinema che fu, ma anche il tentativo mai forzato di avvicinare e mescolare, non solo a livello topografico, l’Oriente e l’Occidente, come sotto altra forma è solito fare Olivier Assayas o il Ran Slavin di Call for Dreams. In tal senso, in White Flowers si ritrovano tanto i temi cari ai due registi, quanto l’amore sviscerato ed epidermico nei confronti del Giappone e della sua cultura. Ciò si è trasformato nella base di partenza delle narrazioni che alimentano le loro produzioni e di riflesso nel modus operandi e nel texture che le segna in maniera evidente. Una ricetta dal quale forse non hanno nessuna intenzione di allontanarsi, che a lungo andare potrebbe diventare un limite. Fin qui, però, non ha ancora raggiunto il punto di saturazione, con i due autori che hanno ancora molto da da dire e da mostrare in merito.
White Flowers: un equilibrato mix di tonalità che unisce il mistery al dramma psicologico e al romance
Fatto sta che nel film si assiste a un equilibrato mix di tonalità che unisce il mistery al dramma psicologico e al romance, in un cocktail trans-genere e metalinguistico (l’audiovisivo, il fumetto, la pittura, la letteratura) che ha nell’eccessiva durata della timeline (si oltrepassa di poco la soglia delle due ore) il suo unico peccato di gola. Per il resto, c’è il rigore formale che si sposa con l’eleganza e la raffinatezza della messa in quadro, i lampi di poesia che si concentrano in scene dal forte impatto visivo (il viaggio notturno in nave o la grotta con le statue scolpite nella roccia), una trama stratificata e intrecciata che necessita di un’attenzione massima da parte del fruitore e un sound design prezioso fatto di silenzi e note che vanno ai vuoti del non detto.
Francesco Del Grosso
02/06/2020